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RECUPERO DELLE VECCHIE CASE NELLA BASSA PADANA
Pubblichiamo con grandissimo piacere questo articolo del Dott.Nicola Conti, laureato in agraria con corso specializzazione ecomica alla Bocconi.
Docente Cepu.
Il Dott.Conti è componente del Centro Studi Assoproprietari.
Questo articolo,non tecnico è per noi non più ragazzini un tornare alla memoria di altri tempi con una certa malinconia.
Ora io non so se sarà possibile recuperare tutte queste vecchie case,le distanze dai servizi,negozi autobus sono un freno al loro reale recupero.Con questo modello di società non sarà certo facile...ma siamo con il Dott.Conti.
Consiglierei a tutti di leggerlo.
Presidente Assoproprietari
Recupero degli edifici rurali_ Case piene di fascino e mistero
di: Dott. Nicola Conti
Chi percorre per la prima volta le strade, più o meno tortuose che attraversano le zone del modenese, ferrarese e bolognese, non può che rimanere colpito dalla quantità di edifici rurali trascurati, il più delle volte cadenti e con tetti semi scoperchiati: sono le cosiddette “unità collabenti” catastalmente non soggette a obbligo di denuncia perché immobili presunti non reddituali. Fenomeno sorto tra gli anni ‘50/60 quando, in pieno processo di industrializzazione, pur in zone agricole altamente produttive, si sono progressivamente abbandonate le case dei progenitori favorendo l’urbanizzazione, purtroppo di qualità quasi sempre insufficiente.
Le cosiddette case mezzadrili e bracciantili, gli edifici a elementi non coerenti stilisticamente, nonché le distaccate stalle/fienili con portici frontali ed alti pilastri o quelle con archi, a nome di “caselle”, sono impresse nella memoria collettiva in quanto tutt’uno con il paesaggio rurale emiliano, tramandatoci dai nostri avi.
Perché fermare lo sguardo su di loro? Perché prestare attenzione a ciò che modernamente si crede debba essere sottratto alla vista, o al più presto restaurato di modo che non sia più abbandonato ma ristrutturato, perda la sua natura e si mimetizzi con le altre nuove villette ordinate? Forse dobbiamo chiederci come mai nessuno le abbia già puntellate, abbia già costruito intorno a loro un ponteggio protettivo? O forse sarebbe bene capire perché siano in tale stato? Forse l’azienda agricola gestita dal nonno non soddisfaceva più i parametri reddituali sufficienti per le esigenze della famiglia colonica, con conseguente necessità di vendita al confinante. Il proprietario della casa può essere deceduto, oppure chi l’ha ricevuta in eredità può non essere stato interessato a vivere in campagna. Oppure è stata messa in vendita ma per la distanza dalla città o per l’esistenza nelle vicinanze di altri immobili dello stesso tipo, poco alla volta nessuno se ne è più curato. Oppure è il paesaggio intorno ad essere mutato tanto da renderla antiquata. Sempreché l’essere stata trascurata non dipenda dalla mutazione del paesaggio, a seguito della costruzione di una ferrovia o di una autostrada nelle vicinanze, con divisione del terreno aziendale non più remunerativo. Una casa abbandonata già ci fa pensare ai percorsi di vita dei loro occupanti che per decenni ne fecero il loro centro di vita e di interessi, ma che il trascorrere del tempo e le mutazioni economiche hanno cambiato le loro aspettative, non più legate indissolubilmente col tipico lavoro manuale agricolo, che coinvolgeva la famiglia ma che, con il cambiamento dei costumi e mode e quindi di stile di vita le giovani generazioni hanno abbandonato ciò che li legava al loro passato. Se, però, anziché all’agricoltore e alla sua famiglia, abbiamo riguardo alle creazioni da loro apportate al terreno nudo originario mutato con le coltivazioni e con le costruzioni degli ambienti abitativi, non vediamo più le masserie abbandonate, i fienili scoperchiati ecc.., ma in esse rivediamo l’operosità degli agricoltori che deve rimanere nella memoria della collettività, che per amore delle buone cose vissute nel passato deve suggerire un afflato dal profondo dell’animo con la domanda: «Che peccato! Come è possibile che nessuno si preoccupi di loro, di restaurarle o almeno demolirle del tutto? Perché lasciarle così, in stato di abbandono, cadenti a pezzi?»
Le case abbandonate sono veramente i resti di ciò che in passato erano abitazioni piene di vita. Resti, a prima vista, privi di interesse economico ma con un valore estetico, anche romantico, al tempo stesso, delle cose e delle storie che le hanno impregnate: per questo più che un trend, l'abandonalism (Il fascino di tegole che mancano, finestre rotte e edera che avvolge tutto ha un nome e si chiama Abandonalism.) è un atto di resilienza umana che ben si applica anche al viaggio di scoperta, alle persone che incontriamo e alle loro culture.
Gli eventi sismici del 20 e del 29 maggio 2012 hanno provocato ingenti danni al “mondo rurale”, sia alle attività agricole, al comparto agroalimentare, e sia al patrimonio edificato nel suo complesso. Nella zona definita del “cratere”, che comprende 33 Comuni della pianura emiliana tra il reggiano e il ferrarese, l’agricoltura ha da sempre un ruolo rilevante in termini di estensione di superficie agricola utilizzata e di livello economico raggiunto. Il sisma ha colpito duramente le attività ed il tessuto edilizio rurale sparso della campagna emiliana. I danni maggiori sono stati registrati per quei complessi o quei fabbricati per i quali la manutenzione non era stata continuativa o che addirittura erano in totale stato di degrado e abbandono. Questa sfiducia nel futuro, purtroppo, si è riscontrata proprio nelle corti rurali storiche. Una auspicata ricostruzione non può e non deve limitarsi a riproporre lo stato di fatto pre-sisma, ma deve cogliere l’opportunità offerta oggi per migliorare il paesaggio rurale nel suo complesso: migliorare le attività che vi si svolgono, in termini di efficienza e di funzionamento delle aziende agricole portandole ai principi economici più progrediti: migliorare il patrimonio edificato dal punto di vista della sicurezza sismica e dell’efficientamento energetico, ma nel contempo privilegiare la riqualificazione/neo creazione del paesaggio rurale.
Dagli anni ’50 ad oggi il paesaggio rurale ha subito radicali trasformazioni, con evidenti mirati soprattutto all’assetto del paesaggio coltivato, che in questi contesti di pianura ha assunto nel corso del tempo una diversa apparenza. L’evoluzione dei complessi edificati mostra segni altrettanto evidenti di mutamento, leggibili nella crescita dell’articolazione di centri edificati già presenti negli anni ’50 e, solo più raramente, nella creazione di nuovi nuclei funzionali alle aziende agricole. L’edificazione di nuovi insediamenti ha avuto più a che fare con l’inserimento di funzioni incongrue, quali comparti residenziali con attività produttive isolate. Tale processo di stratificazione dei complessi edilizi spesso non si è confrontato con una visione territoriale evolutiva spaziale, limitandosi a soddisfare le esigenze sorte dalle produzioni aziendali.
Le trasformazioni hanno così determinato una graduale alterazione dei caratteri strutturanti del paesaggio rendendo inesorabile l’omogeneizzazione con i confini marginali dell’urbanizzato e la banalizzazione dei segni, della tradizione e della memoria legata al mondo agricolo. Il recupero degli edifici rurali abbandonati è un ottimo metodo per ridurre lo spreco di territorio, incentivare l'economia locale e valorizzare il paesaggio rurale agricolo, inframezzato, eventualmente da piantumazioni boschive, raggiungibili tramite viottoli ciclo-pedonali, mantenute con un sottobosco fruibile alle comitive per una immersione nella natura.
Le campagne emiliane rappresentano un ottimo esempio di vecchi e antichi edifici purtroppo abbandonati e collibenti, diversi costruiti con uno stile rappresentante del mondo agricolo padronale dell’800 e del secolo scorso, mantenendo l’immagine dell’epoca, che potrebbero essere restaurati, riutilizzati ed abitati non solo quale sede principale del “padrone”, ma anche come ville da affittare per brevi periodi a persone appartenenti ai media o al mondo dell’alta finanza oppure a scopo d’immagine paesaggistico. Innanzitutto anche come scelta culturale: Saverio Muratori (architetto, urbanista, storico dell'architettura e accademico italiano) sosteneva, infatti, che l'architettura rappresenta la società che si autodetermina, è la civiltà.
Così come la crisi dell'architettura diviene la crisi civile. Riutilizzare gli edifici rurali dismessi o abbandonati contribuisce quindi in maniera sostanziale alla salvaguardia del nostro territorio, perché trasformando i vecchi fienili o casali in abitazioni significa evitare o ridurre le lottizzazioni di villette a schiera che si inseriscono di prepotenza nel paesaggio, spesso cementificando e snaturando scorci pittoreschi.
Inoltre, le vecchie case di campagna sono piene di fascino e mistero. I muri scrostati sono veri e propri palinsesti che raccontano una storia attraverso l'apertura di una porta, la modifica di una finestra o l'aggiunta di una stanza. L'edilizia tradizionale, rispecchiando fedelmente il sistema sociale di un luogo e servendosi dei materiali locali, forma un tutt'uno con il suo contesto.
É anche una scelta rispettosa dell'ambiente: restaurare un edificio abbandonato significa infatti riportarlo a nuova vita e renderlo utile. Un casale abbandonato può diventare ad esempio un'abitazione multi-famigliare con un grandissimo giardino in cui magari coltivare un orto o piantare uno o più alberi da frutto. Uno stile di vita sano e consapevole, lontano dalla frenesia delle città più grandi. Così si evita la cementificazione eccessiva, perché il riuso sistematico degli
edifici abbandonati riduce la necessità di quartieri residenziali decentrati e malserviti, recuperando territorio per l'agricoltura.
Si valorizza altresì l'economia locale in due diversi modi: preferendo manodopera locale e materiali tradizionali, facilmente reperibili sul posto, oppure creando percorsi di turismo sostenibile grazie alla riconversione di vecchi mulini, fienili, stalle e case cantoniere in foresterie, case per vacanze o bed and breakfast.
Un sogno o la possibile realtà futura?
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