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FAUNA SELVATICA NEI CENTRI ABITATI - IL LUPO "CONFIDENTE"

di: Dott. Nicola Conti -Ferrara-

 

Ancora una volta il Dott. in agraria Nicola Conti, componente del Centro Studi di Assoproprietari, scrive un articolo molto interessante che potrebbe a prima vista non avere niente a che fare con gli immobili, ma non è così. Già nelle periferie delle città di Bologna e Comuni limitrofi, sono comparsi con frequenza cinghiali, lupi, cerbiatti e volpi, senza contare un numero rilevantissimo di nutrie nei nostri fiumi e canali.

Tonino Veronesi

Presidente Assoproprietari

In questa nostra Italia moderna, affermano gli esperti, i centri urbani, come le piccole frazioni e gli agglomerati di case siano posizionate spesso inconsapevolmente all’interno del territorio di un branco di lupi. Per ciò non deve stupirci in alcun modo l’avvistamento dei cosiddetti lupi “confidenti” che si avvicinano sempre più nei pressi delle abitazioni, specie durante le ore notturne o crepuscolari. Così come il lupo anche altri animali selvatici come cervi, caprioli o cinghiali possono avvicinarsi alle case e talvolta possono venire predati e consumati sul posto dai lupi. Questo fenomeno, anche se dal forte impatto emotivo, è del tutto naturale e rientra a pieno titolo nella normalità di questa specie che durante le attività di caccia può anche spingersi nei pressi dei centri abitati.

Per rispondere ad alcuni dubbi sono stati pubblicati dei vademecum informativi per scoprire come vive il predatore, come si comporta e come relazionarsi con esso. L’obiettivo è quello di informare in maniera semplice e disincantata l’essere lupo nel nostro paese affermando la coesistenza con esso. L’idea di realizzare un piccolo vademecum con le informazioni di base per imparare a conoscere e a coesistere con il lupo è nata dalla necessità di rispondere alle numerose domande dubbiose che spesso si sentono rivolgere le autorità competenti e le associazioni venatorie.

Risposte chiare e semplici alle domande più comuni per afferrare la vita del lupo e il suo possibile rapporto con l’uomo, indicando alcune norme di comportamento che al giorno d’oggi sarà sempre più necessario seguire, provando a offrire un modus equilibrato per prevedere di risolvere le problematiche che esso può generare, specialmente nel conflitto con le attività d’allevamento, spesso quello più colpito dal ritorno del lupo.

La tematica trattata è un argomento complesso, ampio e molto spesso pieno di variabili, a seconda del contesto; con l’incremento degli spazi urbani e la progressiva presa dell’uomo negli habitat naturali con abitazioni, strade, infrastrutture e coltivazioni, i lupi si ritrovano ad avere sempre meno superficie libera a loro disposizione, inoltre, soprattutto negli inverni, molte specie faticano a trovare cibo sotto la neve e questo le porta a spingersi verso i centri abitati, attirate dalla possibilità di trovare cibo, attratti dall’odore della spazzatura lasciata per strada e dagli allevamenti di animali da reddito e da cortile.

In questo contesto è importante apprendere ed applicare comportamenti più adatti e congrui per conservare gli spazi necessari alla fauna selvatica indispensabili per sopravvivere ed evitare situazioni potenzialmente pericolose per loro e per l’uomo, come per esempio sottrarsi nel dar loro da mangiare un alimento non adatto alla loro fisiologia, disabituandoli così a procacciarsi il cibo come da sempre procurato in natura. Questo comportamento mette in pericolo anche le persone che avvicinatesi possono essere aggredite, contrarre infezione e di conseguenza anche malattie gravi.

La città è ormai divenuta un sistema ecologico apprezzabile, con aree aperte e meno difese dai predatori, soprattutto con l’avvento dell’ecologia spinta, dimenticando l’esistenza degli esseri selvatici che hanno il diritto naturale di vivere pur’essi coi loro sistemi naturali esattamente nell’ambito del modo di vita del lupo che fanno della predazione il loro stile di vita, è quindi fondamentale evitare di rompere gli equilibri tramite l’interruzione della catena alimentare di questa popolazione selvatica.

Anche il fatto di documentare e mettere in rete gli incontri con l’animale può essere una curiosità, ma può divenire un’arma a doppio taglio, perché ne copre la pericolosità incoraggiando l’interazione con l’animale e dipingendola come un momento speciale da immortalare, quando invece si tratta di una situazione potenzialmente dannosa per entrambe le parti.

Alcune cause di questa situazione di convivenza forzata sono il venir meno del tradizionale spazio e l’erosione dei territori-cuscinetto tra centri abitati e la natura non modificata dall’uomo. Gli habitat sono sempre più ristretti e poco collegati tra di loro, quindi gli animali sono costretti ad avvicinarsi sempre di più alle zone antropizzate anche solo per emigrare da un area all’altra. Come se non bastasse, i lockdown causati dalla recente pandemia hanno esacerbato questo fenomeno di avvicinamento proprio perché per lunghi periodi, i centri abitati si sono fermati e la natura così ha cominciato a riprendersi i suoi spazi. Questi cambiamenti sono da considerarsi ormai prevedibili, rientrando nella normalità.

Gli habitat naturali sono sistemi molto delicati che stanno cambiando rapidamente (anche a causa del cambiamento climatico) e questo crea degli squilibri che stanno modificando anche le abitudini della fauna. Inoltre spesso l’uomo ha agito, più o meno consapevolmente, introducendo specie alloctone (come ad esempio lo scoiattolo grigio americano o il pesce siluro nel fiume Po) che contribuiscono ulteriormente a mutare gli equilibri dell’ecosistema. In questo ambito diventa quindi fondamentale prendere consapevolezza di questo impatto per evitare di creare ulteriori danni alle specie autoctone e agli animali selvatici in generale.

Una corretta gestione delle cause e la diffusione dei corretti comportamenti da tenere in caso di incontri con questi animali possono ridurre notevolmente il rischio di incidenti e la loro pericolosità.

Il fenomeno dell’urbanizzazione è in crescita in tutto il mondo: negli ultimi 50 anni la popolazione umana che vive nelle aree urbane è aumentata da circa 1 a 4 miliardi di persone. Le stime indicano che nel 2050 circa 7 miliardi di persone nel mondo vivranno nei centri urbani, e questo porterà nuove sfide da affrontare e la necessità di gestire al meglio la coesistenza tra ambiente urbano e quello naturale, non potendo immaginare di costringere tutti gli animali selvatici a vivere in oasi delimitate (almeno per ora).

In Italia, parallelamente all’espansione urbana, si registra un miglioramento di buona parte della fauna terrestre e molte specie stanno aumentando in numero e diffusione. Un risultato frutto anche delle azioni di tutela sulle aree protette e di una corretta regolamentazione della caccia, ma soprattutto di cambiamenti ambientali che interessano il territorio, come l’espansione delle foreste e lo spopolamento delle campagne.

Se da una parte l’espansione urbana metta a repentaglio gli habitat naturali modificandoli o frammentandoli, dall’altra può comunque rappresentare un’opportunità per alcune specie selvatiche di sfruttare le nuove condizioni ambientali e le risorse per la sopravvivenza senza subire la sopraffazione dell’uomo.

Le aree urbane presentano temperature più elevate rispetto a quelle circostanti a seguito del cosiddetto “effetto isola di calore”, potenzialmente prolungando la durata delle condizioni climatiche congeniali alla vita umana e alla fauna selvatica in certi periodi dell’anno. Le città sono luoghi sicuri ove non si può esercitare attività venatoria. L’aumento della produzione di rifiuti però, spesso lasciati per lungo tempo nei cassonetti all’aperto o abbandonati per strada in luoghi non adatti al loro conferimento e la presenza di specie arboree utilizzate come piante ornamentali o il cibo portato direttamente da persone generose, possono aumentare la disponibilità di alimenti per i selvatici, mentre edifici e infrastrutture abbandonate possono fornire nuovi rifugi. Questi sono tutti fattori che possono attirare la presenza di animali normalmente non presenti nelle città. Molti centri abitati italiani si trovano in zone prossime ad ambienti naturali considerevoli. La presenza di aree agricole, parchi urbani o periurbani e corridoi naturali intorno o verso le città non fa che fornire vie di accesso ad animali selvatici come lupi, cinghiali, tassi, istrici e volpi verso i centri urbani. Le città più verdi (come molte città dell’Emilia Romagna), comprendono corridoi verdi lungo i fumi e i canali, mentre grandi cunei naturali si estendono dalle aree agricole periurbane fino all’Appennino Tosco Emiliano hanno mostrano come un avvicinamento della fauna non è solo possibile ma frequente.

In molti casi la presenza nelle aree urbane di specie animali selvatiche o “aliene” (tipo le nutrie) porta a interazioni con l’uomo dirette che possono essere pericolose. Possono provocare conflitti con le persone, danni a strutture o beni, incidenti stradali, attacchi diretti a esseri umani o ad animali domestici, o ancora conseguenze negative di scavi per le tane, razzie di rifiuti o defecazione; fino al rischio di spillover (fuoriuscita di un virus da una specie “serbatoio”, in cui esso abitualmente circola, verso una nuova specie “ospite” in cui esso può morire oppure adattarsi fino a innescare epidemie) e di nuove patologie. Con l’espansione delle città, prevista per i prossimi anni, i conflitti tra umani e animali selvatici rischiano di essere sempre più frequenti e pericolosi.

Oltre a ciò, il rilascio accidentale delle cosiddette “specie aliene” (dette anche “alloctone” o “esotiche”, ovvero specie introdotte dall’uomo, volontariamente o involontariamente, in zone al di fuori del loro areale originario) può minacciare la biodiversità locale e anche, in alcuni casi, portare rischi e nuove malattie per l’uomo.

Gli animali, in natura, si adattano a quello che offrono loro le risorse disponibili. Come detto in precedenza, uno dei motivi fondamentali che portano specie selvatiche come i cinghiali, volpi, lupi, uccelli e altre a frequentare in maniera sempre più massiccia le nostre città è rappresentato dalla disponibilità di rifiuti organici e scarti alimentari, risorse trofiche che favoriscono l’abitudine di questi animali alla presenza dell’uomo. In poche parole, quando c’è tanta disponibilità di risorse, gli animali tendono a concentrarsi dove ne trovano di più.

Ridurne il numero pensando di aumentare l’attività venatoria non è una corretta soluzione praticabile. Aprire la caccia in prossimità o addirittura dentro i centri abitati rappresenterebbe un problema più che una soluzione, da un lato per motivi legati alla sicurezza, dall’altro per l’inefficacia della misura, dal momento che diversi studi dimostrano come l’espansione di determinate specie di ungulati, come ad esempio i cinghiali, non può essere controllata con i metodi di caccia tradizionali che non hanno alcuna efficacia nel limitare l’accrescimento delle loro popolazioni. Ad esempio, l’espansione dei cinghiali, che tanto preoccupano i cittadini di alcune città, è avvenuta in seguito a rilasci di esemplari proprio per motivi venatori. Effettuati dapprima con cinghiali importati dall’estero e in un secondo tempo con soggetti prodotti in cattività in allevamenti nazionali. Tali attività di allevamento ed immissione sono state condotte in maniera non programmata e senza tener conto dei principi basilari della pianificazione faunistica e della profilassi sanitaria, portando in ultima analisi all’aumento degli esemplari e a una loro maggiore diffusione sul territorio.

Per ridurre quindi l’avventurarsi di animali selvatici nelle città e gli spiacevoli incontri con persone non preparate all’accoglienza, la soluzione non è pensare di allontanare tutti gli esemplari, cacciali, o creare barriere attorno ai centri abitati, ma semplicemente ridurre le cause che li attirano nei nostri centri cittadini, a partire da azioni come la corretta gestione dei rifiuti urbani e il divieto di dare loro da mangiare.

Molto spesso i cassonetti per la raccolta dei rifiuti non sono a prova di animali selvatici, che riescono quindi a prelevarne il contenuto. A volte o in aggiunta a questo, capita anche che gli scarti alimentari vengano abbandonati lungo le strade, rendendo ancora più semplice la ricerca di cibo per questi esemplari non addomesticati. Questo rappresenta un forte richiamo per le tante specie che si avvicinano alle aree urbane dalle zone naturali e agricole circostanti. Dar da mangiare agli animali selvatici, invece, è espressamente vietato dalla legge 221/2015 e, in alcune città come Roma, vigono specifiche ordinanze che vietano la distribuzione di alimenti a questi, come ad altri animali (colombi, gabbiani, ecc.).

La Regione Emilia Romagna mette a disposizione degli agricoltori strumenti economici (bandi pubblici per accedere a fondi di bilancio e bandi con fondi del Programma di Sviluppo Rurale) che finanziano il 100% degli interventi realizzati per sostenere l’acquisto di dotazioni anti-predazione e l’aiuto di un tecnico esperto per la valutazione delle soluzioni più adatte alla propria realtà aziendale. A breve viale Aldo Moro (sede della Regione ER) investirà altri 2,5 milioni di euro su un nuovo bando per la prevenzione dei danni da fauna selvatica. Ma queste misure, senza la cornice di un piano nazionale, non bastano, spiega la Regione che ha avviato da tempo un tavolo di confronto con l’Istituto Superiore per la ricerca e la protezione ambientale (Ispra) per individuare azioni da mettere in atto nel breve periodo nell’ottica della mitigazione dei conflitti sul territorio regionale.

In conclusione sono diversi gli aspetti legati a questo problema, prima di tutto gli attacchi al patrimonio zootecnico e le loro conseguenze. Poi l’analisi della popolazione dei lupi (dalle cause di mortalità alla gestione degli esemplari feriti) e in fine la questione dei cosiddetti lupi confidenti. Per questo sono indispensabili protocolli operativi per intervenire sulle situazioni effettive e anche sul livello percepito di problematicità. E a questo va necessariamente affiancata una attività di formazione da parte di tecnici preparati con adeguamento del personale dipendente per garantire gli interventi più corretti e l’operatività massima sul territorio.

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