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IL REGIME GIURIDICO DEI PORTICI NEI CENTRI STORICI

Ringrazio l’Avv. Fulvio Pironti per averci inviato quest’interessantissimo articolo che riguarda i portici nei centri storici delle città.

Tonino Veronesi

Presidente Assoproprietari

 

 

La presente analisi tenterà di delineare il regime giuridico dei porticati presenti in diversi centri storici. Per meglio comprenderne la loro essenza e i peculiari aspetti, l'argomento è stato trattato tenendo conto delle origini, evoluzione giuridica e intersecazione del passato con il presente.

Il portico nella storia I portici italiani, le cui origini risalgono all'età medievale, si sono espansi maggiormente nei centri storici di molte città dislocate nel settentrione (fra quelle con portici pregevoli ed eleganti si annovera Bologna, Torino, Padova, Cuneo, Bolzano e Genova). Costituiscono un articolato impianto di percorsi pedonali coperti i quali, nella generalità dei casi, si snocciolano entro il perimetro dei centri cittadini. Nonostante l'incedere dei secoli, il portico, immutato nella natura giuridica, è stato sempre considerato una proprietà privata asservita all'uso pubblico. Tale peculiarità ha comportato che i principali fruitori siano i cittadini che vi transitano.

Essendo assoggettati ad un uso pubblico pervasivo, i proprietari dei relativi caseggiati stentano a percepirli come beni condominiali (soprattutto per i particolari risvolti in tema di responsabilità e per quanto afferisce alla manutenzione). Sebbene in forme diverse, il portico è senz'altro una struttura utilizzata dalla architettura di tutti i tempi. Le sue molteplici espressioni spaziano dalla struttura trilitica alla struttura arcuata. Tipologie, queste, variamente riproposte nelle epoche successive. Oltre a divenire elemento usuale dell'architettura monastica, chiesastica e civile, ha mantenuto sempre la sua distintiva funzione di ambiente privato deputato al pubblico transito pedonale.

Definizione di portico Il vocabolario Treccani fornisce una definizione esaustiva del portico. Chiarisce che è un «ambiente al pianoterra, del quale almeno un lato è costituito da una teoria di colonne o di pilastri e caratterizzato da aperture a regolare distanza; può essere elemento decorativo nella facciata o nel fianco di palazzi, oppure area di passeggio o di riparo lungo le vie, intorno a cortili, piazze, mercati, ecc.». Definisce, poi, il lemma porticato un «portico lungo e spazioso, o complesso di portici distribuiti lungo il perimetro di una piazza, di un cortile, di un chiostro». È, quindi, una struttura architettonica ornamentale e decorativa liberamente accessibile, spesso in aggetto sulla pubblica strada, e il fine principe lo esplica attraverso la protezione di una circoscritta area destinata al transito pedonale.

Evoluzione giuridica del portico Risalendo nelle pieghe del tempo, le questioni legate ai portici venivano disciplinate dai differenti diritti consuetudinari creati dalle diverse comunità, tramandati oralmente o per iscritto, come, ad esempio, il Codice statutario di Bologna promulgato nel 1288. Nei diversi codici civili preunitari non è dato rinvenire alcun riferimento, diretto o indiretto, inerente i portici. Nel Codice civile del Regno introdotto nel 1865 si rinviene l'articolo 562 il quale poneva a carico di tutti i condòmini la spesa dei beni comuni tra cui, sebbene in questo caso non espressamente annoverato, i portici.

La legge speciale (numero 8) sul condominio di case varata nel 1935 all'articolo 2 non menzionava espressamente il portico fra i beni comuni. Tuttavia, poteva considerarsi ricompreso nella generica e omnicomprensiva dicitura «parti costitutive dell'edificio». I portici rientrano, secondo l'intervento riformatore sul condominio varato nel 2012 (e il pregresso impianto del Codice civile 1942), fra le parti comuni dell'edificio contemplate dall’articolo 1117, numero 1, Codice civile. Esso dispone che «sono oggetto di proprietà comune dei proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio, anche se aventi diritto a godimento periodico e se non risulta il contrario dal titolo: 1) tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune, come… i portici… ».

Il regime giuridico I portici sono necessari per consentire a tutti i condòmini l’accesso all’edificio e, pertanto, a porre in comunicazione gli immobili di proprietà esclusiva con le parti comuni e con l’esterno. Le principali diatribe relative ai portici si incentrano sul regime giuridico e sulla disciplina ripartitiva delle conseguenti spese manutentive, specie nel caso in cui non tutti i condòmini ne fruiscano in egual misura.

In considerazione della loro funzione di passaggio, sono sempre di proprietà condominiale anche nel caso in cui vengano usati soltanto dai proprietari degli appartamenti o negozi i cui rispettivi ingressi sono situati al disotto degli stessi. Elementi portanti dell'edificio, i portici si presumono di proprietà comune di tutti i condòmini. La giurisprudenza asserisce l'operatività della presunzione legale di comunione in quanto beni indivisibili. Poiché costituiscono elementi essenziali per l'esistenza del fabbricato, la presunzione di condominialità si considera estesa ai proprietari dei negozi e locali terranei che su di essi vi affacciano.

Le servitù di uso pubblico gravanti sui portici condominiali Il portico condominiale, pur essendo di proprietà del condominio, è gravato da una servitù di pubblico passaggio il cui uso deve essere regolato esclusivamente dalla amministrazione pubblica (Cassazione 10323/2008). Le servitù di uso pubblico si costituiscono per il solo fatto che un portico sia stato lasciato per lungo tempo liberamente accessibile. Al riguardo, la Cassazione ha reiteratamente ribadito che tale servitù, quale modalità costitutiva di servitù di uso pubblico, consiste nel comportamento del proprietario che, per quanto non intenzionalmente volto a dar vita al diritto di uso pubblico, ponga volontariamente e continuativamente un proprio bene a disposizione della collettività senza che occorra un lasso temporale o un atto negoziale ablatorio al fine di soddisfare una esigenza collettiva ai membri di un comune (Cassazione 12167/2002, 7481/2001, 6924/2001, 875/2001, 15111/2000,3117/1995, 10574/1994, 5262/1993, Sezioni unite numero 1072/1988).

Più recentemente, il Consiglio di Stato (1369/2019) ha chiarito che la costituzione di una servitù di uso pubblico su una strada privata può avvenire con due modalità alternative: a) mediante la cosiddetta dicatio ad patriam, ovvero il comportamento del proprietario di un bene che lo ponga spontaneamente a disposizione di una collettività indeterminata di cittadini generando l’effetto immediato della costituzione di servitù ad uso pubblico; b) mediante l’uso del bene da parte della collettività protratto per un lasso temporale necessario all’usucapione.

Altra pronuncia del Consiglio di Stato ( 4141/2017) ha incisivamente precisato che «l’esistenza di un diritto di uso pubblico del bene non può sorgere per meri fatti concludenti, ma presuppone un titolo idoneo a tal fine; in particolare, laddove la proprietà del sedime stradale non appartenga ad un soggetto pubblico, bensì ad un privato, la prova dell’esistenza di una servitù di uso pubblico non può discendere da semplici presunzioni o dal mero uso pubblico di fatto della strada, ma necessariamente presuppone un atto pubblico o privato(provvedimento amministrativo, convenzione fra proprietario ed amministrazione, testamento) o l’intervento della usucapione ventennale, fermo restando che, relativamente a quest’ultimo titolo di acquisto del diritto, va preliminarmente accertata la riconosciuta idoneità della strada a soddisfare esigenze di carattere pubblico».

Gli oneri manutentivi In linea generale, le spese manutentive, conservative e ricostruttive dei portici, parti comuni espressamente previste dall’articolo 1117, numero 1, Codice civile, sono a carico dell’intero condominio e vanno ripartite in ragione dei millesimi di proprietà. Nel diverso caso in cui il portico sia prospiciente alla strada, sarà gravato di servitù di uso pubblico per cui le opere afferenti alla rifazione e manutenzione del piano calpestabile e tutti gli oneri riguardanti l’illuminazione rimarranno a carico del Comune per espressa previsione legislativa. Tuttavia, come vedremo, l'argomento manutenzione è tutt'altro che univoco.

La disciplina legislativa Si è detto che quando il portico affaccia sulla strada è gravato di servitù pubblica di passaggio. Ogni conseguente manutenzione grava, secondo espressa previsione legislativa, sul Comune. L'articolo 7 della legge numero 1150/1942 conferisce la facoltà ai Comuni di prevedere che i portici possano essere sottoposti a pubbliche servitù. In particolare, viene previsto che il piano regolatore generale deve considerare la totalità del territorio comunale e indicare le aree destinate a formare spazi di uso pubblico o sottoposte a speciali servitù. Può verificarsi che il portico annesso ad un condominio sia gravato da servitù di pubblico di transito qualora il piano regolatore generale comunale sancisca un simile vincolo.

L'articolo 40, comma 2, del richiamato articolato legislativo prescrive l'imputazione della spesa manutentiva. Esso dispone, tra l'altro, che nessuna indennità andrà corrisposta per la servitù di pubblico passaggio che il Comune imporrà sulle superfici adibite a porticato nelle preesistenti costruzioni. Permangono, però, a carico del Comune tutti gli oneri come la costruzione e manutenzione dell'area coperta calpestabile e l'illuminazione della stessa (infatti, l'articolo 40, comma 2, sancisce che «non è dovuta indennità neppure per le servitù di pubblico passaggio che il Comune creda di imporre sulle aree dei portici delle nuove costruzioni e di quelle esistenti. Rimangono a carico del Comune la costruzione e manutenzione del pavimento e la illuminazione dei portici soggetti alla predetta servitù»).

Nessun ostacolo si frappone alla volontà del condominio di poter realizzare opere di ristrutturazione. Tanto in quanto la servitù, pur imponendo il vincolo di destinazione, non impedisce la realizzazione di lavori in quanto la proprietà del portico resta pur sempre attratta nella sfera dominicale esclusiva della compagine comproprietaria.

Lo statuto consuetudinario comunale Come è noto, il diritto consuetudinario è costituito da regole vincolanti, perpetuate e tramandate in forma orale. Sedimentato con la tradizione all'interno di una comunità, si contrappone al diritto scritto (diritto statutario) creato da una autorità mediante procedura formale. Contempla precetti divenuti vincolanti in séguito alla prolungata applicazione di princìpi. Si eleva a fonte di diritto in quanto costituita dal reiterato comportamento di una larga generalità di individui accompagnato dalla convinzione della sua obbligatorietà. A partire dal XIII secolo, il diritto consuetudinario iniziò ad essere registrato mediante procedure rituali in cui gli esperti rivelavano le regole predisponendone la verbalizzazione.

Il diritto consuetudinario perse importanza in quanto l'evoluzione della prassi giuridica finì per soppiantarlo, a partire dal XIV secolo, con il diritto statutario. Vari sono gli antichi statuti comunali. Si sofferma l'attenzione sullo Statuto felsineo le cui regole derivano dal diritto consuetudinario. Il decimo libro dello Statuto di Bologna del 1288 si compone di settantadue rubriche («Regolamento urbano e lavori pubblici da fare e da mantenere») e impartisce prescrizioni e divieti sulla costruzione dei portici. La decima rubrica è titolata «sull'obbligo di tenere le vie e i portici sgombri». In ordine alle dimensioni dei porticati lo Statuto dispone:«…decretiamo… che i portici della città… siano tenuti sgombri in modo che chiunque possa andare e venire…»; «… rimangano tutti i portici sgombri… in modo che chiunque possa uscire liberamente in strada e liberamente entrare nel portico. E nessuno tenga sotto il suo portico carri, pali né stanga davanti al suo portico… ».

La cinquantaduesima rubrica del decimo libro impone la costruzione dei portici sul fronte stradale degli edifici utilizzando il suolo privato e stabilisce che su di esso deve essere consentito il transito per tutti. Con tale regola il suolo privato diviene di uso pubblico, quindi l'utilità degli spazi protetti viene estesa a tutta la collettività. Il dato oltremodo rilevante è rappresentato dal riversamento dell'oneroso e permanente aggravio manutentivo delle rispettive porzioni di porticato in capo ai proprietari dei distinti edifici contigui. I portici -dispone la regola statutaria - «…siano mantenuti in perpetuo a spese di coloro dei quali sono i casamenti…».Gli antichi statuti comunali sono ancora vigenti? L'interrogativo non restituisce una risposta di agevole.

Andrebbero esaminate certosinamente le normative in materia di portici per capire se hanno abrogato, esplicitamente o implicitamente, gli antichi statuti comunali. Occorrerebbe poi valutare la gerarchia delle fonti e l'eventuale portata derogativa statutaria. Inoltre, considerato il lunghissimo arco temporale, bisognerebbe verificare i periodi di effettiva vigenza, quelli improduttivi per le abrogazioni interposte e l'eventuale reintroduzione degli antichi statuti da parte dei Comuni. Non può sottacersi che nel medioevo si diffusero gli statuti comunali con il precipuo fine di raggruppare le prassi consuetudinarie consolidatesi nel tempo. La loro vigenza si prolungò per molti secoli, fino all’affermarsi degli stati moderni. Dopo l’unificazione, il nuovo governo compresse la potestà statutaria comunale mentre nel periodo fascista venne addirittura soppressa.

La legge 142/1990 ha disciplinato l’ordinamento delle autonomie locali: l’articolo 4 ha previsto l’adozione degli statuti da parte dei Comuni volti ad organizzare l’ente e l’ordinamento dei servizi pubblici. Il Dlgs 18 agosto 2000, numero 267 (Tuel), ha regolato i contenuti fondamentali e inderogabili degli statuti comunali. La legge costituzionale 3/2001, poi, nell'emendare l’articolo 114 del dettato costituzionale, ha introdotto il principio secondo cui «i Comuni… sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione». A séguito di tale intervento riformatore, la legge 131/2003 ha disciplinato all’articolo 4 la potestà statutaria degli enti locali.

L'omessa manutenzione del portico. Il caso di Bologna Per comprendere quanto attuale e controversa sia la ricaduta della responsabilità risarcitoria e degli oneri manutentivi riguardanti i portici, è interessante riportare un caso accaduto a Bologna nel 2020. Una donna camminando sotto i portici inciampò in una buca e, perdendo l'equilibrio, cadde riportando danni al naso e ad un occhio. Il Gip di Bologna si pronunciò sulla manutenzione dei portici. Il decidente felsineo nel decreto di archiviazione di un contenzioso che vedeva la signora caduta sotto il portico per causa di una buca e il condominio(proprietario della annessa porzione di porticato), respinse l'ipotesi di responsabilità in capo all'amministratore e ribadì che «…i portici sono soggetti a servitù di uso pubblico in quanto adibiti a pubblico passaggio per cui chi è tenuto alla custodia, manutenzione e relativa pavimentazione è solo il Comune».

ll Gip chiarì che «i portici sono soggetti a servitù di uso pubblico in quanto adibiti a pubblico passaggio». E, secondo quanto prescrive l'articolo 40 della legge 17 agosto 1942, numero 1150,chi è «tenuto alla custodia e alla manutenzione e relativa pavimentazione è solo il Comune».Tali rilievi destarono stupore negli uffici comunali i quali evidenziarono che i rapporti fra pubblico e privato riguardo ai portici sono tuttora regolati dall'antico Statuto comunale emanato nel 1288.

In particolare, il sindaco osservò che la regola statutaria si era perpetuata fino ai tempi odierni ragion per cui la pulizia e l'illuminazione restavano a carico della amministrazione comunale mentre la manutenzione ordinaria e straordinaria spettava ai frontisti (quindi ai proprietari-condòmini). La città di Bologna - sostenne il sindaco - da 732 anni è pacificamente assestata su queste disposizioni statutarie. Tra l'altro, sarebbe impensabile per il Comune addossarsi il gravoso onere manutentivo tenuto conto che si tratta di ben 42 chilometri di porticati.

Gli odierni regolamenti comunali A titolo esemplificativo, val la pena soffermarsi sul regolamento edilizio del comune di Jesolo. Ciò per evidenziare l'enorme disomogeneità sul tema delle ricadute manutentive sulle quali si innestano antiche consuetudini, assetti legislativi nazionali e odierni regolamenti comunali. Ebbene, in merito ai portici, l'articolo 14, rubricato sotto il titolo «Marciapiedi, portici» così dispone: «4. Le opere di manutenzione dei portici sono a carico del proprietario. 6. Sono a carico del proprietario l’installazione dell’impianto di illuminazione e la fornitura dei corpi illuminanti, secondo modalità e tipi stabiliti dal Comune. 7. Al Comune spettano la manutenzione dell’impianto di illuminazione e dei corpi illuminanti, nonché la fornitura di energia elettrica. 8. Le aree costituenti i portici ed i passaggi coperti rimangono di proprietà privata, essendo però gravate da servitù perpetua di pubblico transito». Balza all'occhio la manutenzione imputata al condominio. L'eventuale omissione manutentiva del condominio potrà causare cadute accidentali e quindi diverrà fonte di responsabilità. È il caso di evidenziare come questo regolamento contrasti con l'articolo 40 della legge 1150/1942.

Conclusioni L'affascinante architettura dei portici disseminati lungo i centri storici sembra, per ora, destinata ad essere regolata dai multiformi e confliggenti assetti disciplinari. L'insieme dei variegati e spesso contrastanti impianti normativi e statutari imporrebbe una riflessione, sen on altro per fare chiarezza sui delicati profili risarcitori conseguenti alla omessa manutenzione. Si eviterebbero imbarazzanti rimpalli di responsabilità e si offrirebbe all'infortunato utente del portico certezze riguardo alla individuazione del soggetto passivamente legittimato.

 

Avv. Fulvio Pironti

 

 

-Fulvio Pironti, avvocato civilista, opera sull'intero territorio nazionale occupandosi prevalentemente di contenzioso condominiale.

Autore di numerosi contributi e note a sentenza e in tema di diritto condominiale e immobiliare editi in riviste di rilevanza nazionale e di interesse universitario. Collabora con il Quotidiano del Condominio – Il Sole 24 Ore -

 

 

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